Exposition au musée

Robert Ryman. Lo sguardo in atto

Dal 06 Marzo al 01 Luglio 2024
Robert Ryman (1930-2019)
Untitled, 2011
Pinault Collection
Courtesy David Zwirner. Robert RYMAN © Adagp, Paris, 2023 / Kerry McFate

Lo sguardo in atto

Robert Ryman (1930-2019), pittore americano attivo a New York dagli anni '50, ha dedicato gran parte del suo lavoro artistico all'analisi dei fondamenti della pittura. Riprendendo tela dopo tela la formula del quadrato bianco, scelto per la sua neutralità, Ryman esplora tutto ciò che materialmente compone un dipinto, dal supporto alla superficie, passando per l'illuminazione o il sistema di aggancio. Inizialmente destinato a una carriera di sassofonista jazz, Ryman ha lavorato per quasi un decennio come guardiano di sala al Museum of Modern Art di New York. Vi scopre i maestri moderni europei (Claude Monet, Paul Cézanne, Henri Matisse) e i nuovi riferimenti americani (Mark Rothko, Jackson Pollock, Barnett Newman) e decide di dedicarsi esclusivamente alla pittura.

Pittore di quello che lui stesso rivendica, non senza provocazione, come un'opera «realistica» in quanto non propone alcuna illusione o simbolo, l'artista continua le sue sperimentazioni fino agli ultimi anni della sua vita. Spinto dalle infinite possibilità del mezzo, giocando costantemente con la variazione, Ryman getta sulla pittura uno sguardo sempre in atto. È quindi opportuno guardare la pittura di Ryman come l'artista ci invita a farlo: una pittura attiva, che richiama lo sguardo del pittore tanto quanto quello di coloro a cui si rivolge (i visitatori, o meglio gli spettatori).

Superficie

Robert Ryman, si vuole, prima di tutto, pittore. Le sue prime esplorazioni in campo pittorico si concentrano sulle modalità di applicazione della pittura su un supporto. Ricerca e studia i vari effetti provocati dallo spessore della materia, dalle variazioni di tonalità, dal lavoro della pennellata. Queste sperimentazioni segnano le tappe di una ricerca di cui il pittore sa perfettamente che non ha alcuna fine; tuttavia, sono la scusa perfetta per interrogarsi su ciò che fa un dipinto e sulla sua natura. L'uso del formato quadrato e della pittura bianca, ma anche i principi tecnici che regolano la pratica dell'artista (scelte metodiche di pennelli, spazzole, supporti, ecc.), sono per lui altrettanti modi per raggiungere una certa neutralità, per escludere la possibilità di qualsiasi forma di interpretazione.

Quando Ryman evoca il suo lavoro, insiste sul processo creativo e sottolinea gli aspetti più pratici delle sue opere, come l'origine mercantile della sua pittura, lo spessore del pennello o le specificità del supporto utilizzato.

Limiti

Interrogandosi sugli elementi costitutivi della pittura, Ryman si interessa anche ai suoi limiti, siano essi fisici o concettuali.

Si sforza regolarmente di esplorare le possibilità di integrazione delle sue opere nel loro ambiente diretto e a tal fine gioca con diverse modalità di presentazione: tele non tese (Adelphi) o su telai (Concerto), composizioni in più parti assemblate (Untitled Triptych), supporti in Plexiglas che rivelano parzialmente la parete (Arrow).

Portando questo approccio ancora più in là, a partire dalla metà degli anni '70, cerca di rendere visibili i modi di aggancio dei suoi dipinti, che sceglie accuratamente per le loro proprietà intrinseche. Agganci metallici poco convenzionali che sporgono dalla tela o cornici in carta oleata vengono inseriti nella valigetta degli attrezzi dell'artista.

Non camuffando nessuno degli aspetti di un dipinto, Ryman ripensa tutto ciò che compone un dipinto e lo spazio in cui si inserisce.

Nello spazio

Le opere di Robert Ryman assumano una forma più scultorea negli anni ‘80. Volendo spingere ancora più in là le nozioni tradizionali della pittura, giunge a distribuirla nello spazio (Journal; Factor). L'artista, che la critica aveva associato all’arte minimalista fin dagli anni '70, si unisce quindi alle ricerche dei suoi contemporanei Sol LeWitt o Fred Sandback sul contesto di visibilità di un'opera: lo spazio che la accoglie è una condizione necessaria della sua esistenza.

Al di là del suo metodo di aggancio, si interessa anche all'integrazione della sua pittura nel suo ambiente. Alcune delle sue opere sono poi in gran parte staccate dalla parete pur rimanendovi fissate, mentre altre sono presentate orizzontalmente. In questo modo, mette in risalto elementi dimenticati della pittura, come il bordo del dipinto, che lavora con il legno o l'alluminio per renderlo più visibile.

Più che chiudere le porte, la sua pittura vuole quindi essere un'opera aperta, in quanto interagisce con lo spazio che la circonda, ma anche con ciò che si aspetta dal nostro sguardo.

Luci

Più che il pittore del bianco, Ryman è un pittore della luce. Momento essenziale del processo creativo, la sua illuminazione rende visibile l'opera, creando ombre o riflessi ed evidenziando tutte le variazioni della vernice bianca. Le riflessioni dell'artista sulla superficie e sui limiti della pittura trovano così il loro culmine nel suo lavoro sulla luce: è la luce che colpirà la materia, ne rivelerà i rilievi o delimiterà l'ombra di un supporto sulla parete.

Così, per Ryman, la luce è costitutiva di un dipinto allo stesso modo di tutti gli altri elementi materiali che entrano nella sua composizione: un'opera è finita solo se è illuminata. Che si tratti di un'illuminazione naturale o artificiale, un'illuminazione soffusa e uniforme deve anche mettere in risalto le opere e le pareti circostanti per integrare completamente il dipinto nel suo spazio.

Epilogo

Dopo quasi sessant'anni di carriera come pittore, Ryman pone fine alla sua attività artistica nel 2011. Tra i suoi ultimi lavori, lascia nell’atelier una serie di otto tele senza titolo, dalle tonalità verdi, arancioni, viola e grigie. Il colore, assente dalle sue prime sperimentazioni negli anni '50, vi torna alla ribalta.

Culmine delle sue instancabili ricerche sugli elementi primari della pittura, queste opere aprono una nuova prospettiva sul suo percorso, ma anche sulla storia della pittura in generale. Le continue variazioni da un dipinto all'altro attestano che la pittura sia una disciplina viva, sensibile, eminentemente proteiforme, le cui potenzialità restano, più che mai, da esplorare. Forse è lì che si trova il legame più diretto tra la serie delle Cattedrali o le Ninfee di Monet e le tele di Ryman:  Una pittura frutto di un approccio sensibile, che richiama tanto lo sguardo del pittore quanto quello a cui si rivolge – uno sguardo in atto:«Che sia astratta o figurativa, questo è ciò che è la pittura, questo è ciò che fa», confida Ryman.